Tutto è nato qualche mese fa quando sono stato contattato da Ferdinando del GAM di Milano.
“Ciao Michele, mi ha dato il tuo numero Selene del CentroxGiovani di Comunità Nuova, dove lavora anche mio figlio Davide. Sto organizzando delle uscite in montagna per i ragazzi e mi piacerebbe fargli provare l’arrampicata. Saresti disponibile?”
Subito mi sono attivato con la FALC e ho trovato il pieno appoggio di tutto il consiglio. Durante la fase di pianificazione è saltata fuori l’idea di portare i ragazzi al rifugio FALC e farli poi arrampicare su qualche struttura lì in zona. Elisa, la rifugista, mi ha dato il numero di Christian “Cinghio” Candiotto che si è offerto di riattrezzare, con il contributo economico della FALC, una parte della “Parete delle marmotte”, piccola struttura rocciosa chiodata ai tempi da Andrea “il gigante” Savonitto. Per questioni logistiche si è poi scelto di portare i ragazzi al rifugio Trona Soliva, non lontano dal FALC.
Devo ammettere che sono stato più volte dubbioso riguardo alla riuscita dell’iniziativa: una decina di ragazzi abituati a stare in città e a vivere situazioni non semplicissime, si sarebbero dovuti confrontare con fatiche fisiche che probabilmente non avevano mai affrontato: un’ora e mezza (abbondante) di camminata fino al rifugio, un’altra mezz’ora per raggiungere la parete e poi l’arrampicata vera e propria. Ce l’avrebbero fatta o correvamo il rischio di dover portare qualcuno in spalla o di dover assistere a qualche sceneggiata?
Il weekend scelto – 9 e 10 luglio – è arrivato, e il nostro gruppo super eterogeneo – Miki Trinchera, Ale Colombo, Andrea De Flaviis, Claudio Tesei, Guido Macchi e io per la FALC, Ferdinando e Michele per il GAM, Selene e Davide e 8 ragazzi, tra i 12 e i 17 anni, per il CentroxGiovani – si è incontrato a Laveggiolo.
Penso che 7 ragazzi su 8 non abbiano risposto al mio saluto quando li ho incontrati. “Iniziamo bene!”, ho pensato.
Dopo aver distribuito scarpette e imbraghi ci siamo incamminati verso il rifugio con qualche lamentela sulla lunghezza del percorso, ma niente di trascendentale. Da quasi tutto il sentiero si potevano vedere le meravigliose vette del gruppo del Masino-Bregaglia-Disgrazia che ci si facevano ammirare da lontano.
Il gruppo si è un po’ diviso a causa del passo diverso ma alla fine, nonostante gli ultimi 10 minuti di “Quanto manca?”, tutti sono arrivati al rifugio senza grosse difficoltà. A una ragazza si è pure staccata la suola di un vecchio scarpone recuperato per l’occasione, ha affrontato la cosa con una battuta e il sorriso sulle labbra!
Dopo un meritato pranzo al sacco, ci siamo diretti alla Parete delle Marmotte. Abbiamo perso tempo perché non abbiamo individuato subito la traccia del sentiero ma non si è lamentato nessuno. Anzi, i ragazzi hanno approfittato di un punto preciso dove il telefono prendeva per colmare la loro astinenza da internet!
L’arrampicata è andata nel complesso bene: anche i ragazzi più timorosi, dopo una piccola crisi, sono arrivati in cima ai tiri e si sono fidati ad appendersi e farsi calare. Ognuno coi suoi tempi e con le sue modalità, com’è giusto che sia. È stata una grande soddisfazione vederli affrontare le proprie paure e sgretolare dei limiti che erano solo nella loro testa.
La sera, su suggerimento di Guido, abbiamo fatto un gioco: ognuno di noi è stato invitato a dire quali erano state la cosa più bella e più brutta della giornata. La cosa più brutta, a detta di molti, è stato l’inizio della gita. Nella mia testa questo ha significato la paura di non farcela, di affrontare noia e fatica. Il fatto che abbiano specificato “l’inizio” vuol dire che poi tutto è crollato, che era solo un pensiero messo davanti a tutto ma che è presto finito nel dimenticatoio. Altre due risposte mi hanno sorpreso, con stati d’animo contrastanti: “la cosa più brutta è stata l’arrampicata”, ha detto un ragazzo che durante la calata aveva avuto un attacco di paura. Ci sono rimasto un po’ male e ho cercato di convincerlo che fosse normalissimo avere paura, cosa di cui in effetti sono convinto. Penso che il nostro cervello non sia assolutamente programmato per guardare la terra da 15 metri di altezza, credo si tratti di semplice e innato “istinto di sopravvivenza. Un altro ragazzo ha invece detto, strappando un sorriso a tutti: “La cosa più brutta sono state le tacche di internet che non c’erano!”. A furor di popolo, la cosa più bella sono state le caprette che abbiamo incontrato sul percorso: la prossima volta li porteremo ad una fattoria didattica senza fare 250km e 4 ore a piedi in 2 giorni!
Per il giorno successivo quasi tutti i ragazzi hanno deciso di tornare ad arrampicare tranne 2 temerari che hanno voluto camminare per un’ora e mezza fino al rifugio FALC.
Tutti hanno arrampicato di nuovo e abbiamo notato piacevoli progressi! Il ragazzo che aveva definito l’arrampicata come la cosa più brutta del giorno precedente ha scalato i tiri che avevamo attrezzato dimostrando grande predisposizione e sconfiggendo la paura: si è appeso alla corda, come se il giorno precedente non fosse mai esistito. Mi sono anche fatto fare sicura da un altro ragazzo (arrampicando con la corda dall’alto), spiegandogli l’utilizzo del GriGri e riponendo in lui massima fiducia, penso se lo meritasse. Era entusiasta.
Siamo rientrati al rifugio, abbiamo pranzato e siamo ridiscesi verso Laveggiolo, concludendo la nostra piccola grande avventura.
Quante soddisfazioni ho ricevuto da questi ragazzi…non so ancora se sono più contento per quello che ho vissuto io o per quello che penso di aver fatto vivere a loro, ma sono felicissimo. Sarà egoismo?
Grazie infinite a Ferdinando e al GAM per aver pensato e messo in piedi tutta l’iniziativa, alla FALC per averla appoggiata fin da subito, a Michele del GAM per averci accompagnati e supportati, a Michela, Alessandro, Andrea, Claudio e Guido (FALC) per averla resa possibile con la loro partecipazione e il loro supporto, a Sele e Davide per il lavoro che svolgono al CentroxGiovani e per essersi messi in gioco pure loro, a Cinghio per aver sistemato le soste.
Ma il grazie più grande va ad Ale, Daiana, Emmanuel, Fra, Merna, Cyrah, Seif e Thomas. Perché mi hanno riempito di vita.