II sec. d.C. Lo scrittore e geografo Pausania, passeggia solitario lungo un viottolo che si inerpica fra muretti a secco e uliveti a perdifiato. Non sono fiori profumati ciò che cattura la sua attenzione, ma grossi vegetali di colore viola, le tsakona, melanzane striate e talmente gustose che meriteranno – circa 1800 anni dopo – un riconoscimento dall’Unione europea.
Chiudi gli occhi per qualche attimo.
Riesci a sentire l’olio che sfrigola? L’odore di frittura si insinua fra le tue narici e cancella qualsiasi altro profumo. Leda ed Antheia, sedute appena fuori dalla loro casa di mattoni azzurri, nel vecchio centro di Leonidio, si stanno preparando a friggerle. Hai già un po’ di acquolina in bocca, ma quando Leda sparge il sale sulle melanzane, le passa nella pastella e delicatamente ne appoggia una nell’olio, non riesci a pensare ad altro che a quel momento in cui le sentirai scrocchiare sotto il palato.
Sei ancora stanca, è stata una mattinata faticosa. Il grande pianoro sulla cima di Kokkino Vrachos ti ha accolto in una festa di sprizzante primavera nel sole caldo del mezzogiorno: un intreccio fitto e inespugnabile di arbusti, cespugli e ciuffi di ogni genere. Lentisco, mirto, salvia crescono gli uni stretti agli altri, come tendenti ad un abbraccio costante, per paura che le intemperie esterne possano estirparli. Ad ogni passo riconosci un nuovo sentore, ora rosmarino, ora mandragola.
È il 24 aprile del 215 d.C. L’imponente muro di Kokkino Vrachos, un calcare rosso a buchi, si staglia per oltre 200 metri di altezza sopra il borgo. Pausania il Periegeta ti ha condotto alle prime luci dell’alba fin sotto la parete. Si mormora che alcuni giovani del villaggio si siano già spinti a salire fino alla cima, dove il grande pianoro è ricco di erbe e spezie, da vendere al mercato del paese. Seduta su un sasso alla base del pilastro calcareo, tiri fuori dalla saccoccia un pezzo di pane ed un tozzo di formaggio di capra, la colazione del mattino. Molti pensieri ti passano per la testa. La cima, come al solito. Ma prima quello che verrà. L’incertezza.
Uno scampanellio scuote i tuoi timori. Alcune capre fanno capolino curiose fra le rocce, mentre i raggi del primo sole incendiamo la cima.
“Due monaci sono stati lassù la scorsa settimana” mormora Pausania, indicando una grande grotta dall’altro lato della valle, sotto il monte Parmon. “Hanno trovato l’icona di Panagia Vrefocratousa, una delle creazioni dell’evangelista Luca. Ne hanno parlato al vecchio Nikos, poi nessuno li ha più visti. Un’opera inestimabile, sai quanto potrebbe valere?”
Socchiudi gli occhi mentre aguzzi la vista per cercare di immaginare come due monaci si possano essere spinti fin lassù per recuperare quella reliquia nel cuore della grotta.
“È solo uno stupido pezzo di mastice e c’era d’api” replichi, addentando l’ultimo morso di formaggio.
Non puoi saperlo, ma fra undici secoli quella grotta ospiterà uno dei più grandiosi monumenti dell’Arcadia, il Monastero di Panagia Elona, dedicato ai due monaci che si stabilirono nella grotta per proteggere la sacra icona. In realtà non ti interessa il valore di quell’icona. Stai pensando alle erbe che si dice crescano sulla cima della tua montagna, e che ti frutterebbero un bel gruzzoletto.
Avvicinandoti alla parete stamattina hai adocchiato uno sperone di roccia meno invaso dalla vegetazione, che cresce rigogliosa sul resto della parete. Sembrerebbe la via più logica. Non è la prima volta che lo vedi. Quel pilastro è lì da sempre. Fin dalla prima mattina in cui hai messo piede qui a Leonidio. Ti attrae magnetico. Hai provato fino ad oggi a rifiutarlo, a stargli lontano, come quelle persone che sai ti porterebbero in luoghi del tuo animo che preferisci non esplorare. E invece eccoti qui.
Il sole lambisce i ginepri alla base della parete. L’immenso muro – fino a poco fa’ tetro e severo, si erge ora come un pilastro di fuoco in tutta la sua magnificienza. Un ultimo sguardo a Pausania “A dopo”.
Tocchi una prima volta le prese, in un rituale ben consolidato. Un respiro profondo. Il pollice accarezza l’indice mentre riecheggia silenzioso nella testa il tuo mantra. Sotto la punta dei polpastrelli la roccia e fredda e ruvida. Stringi i calzari, affinchè il cuoio aderisca perfettamente. E poi fai quello per cui il destino ti ha chiamato qui stamane. Un passo dopo l’altro ti libri leggera fra fessure e buchi, come un’ape meticolosa che volteggia da un fiore all’altro.
L’aria si scalda, la montagna ti accoglie.
Nessun suono oltre quello delle tortore che sembrano cantilenare il tuo nome. Tutu-tu. Tutu-tu. Una leggera brezza ti accarezza il collo quando le cime degli alberi cominciano a farsi piccole.
Non indugi mai, nemmeno quando un pezzo di roccia poco solido si sgretola sotto un piede. Non ti infastidiscono le fessure terrose, nè i pochi arbusti che riempono la parte bassa della parete. Uno sguardo oltre il filo dello spigolo ti regala una nuova prospettiva sull’incrocio di decine di sterrati di campagne, che ora si rompono e ora si intrecciano per finire poi nel mare: il golfo è calmo stamattina, un filo di vento increspa leggermente le onde. Alcune barche stanno rientrando nel porticciolo di Plakia, cariche di pesci.
La lingua accarezza il palato mentre immagini un buon saganaki di gamberi, il sapore acidulo del pomodoro,la freschezza del prezzemolo fresco.In lontananza, li dove le sabbie dorate della spiaggia di Livadi si perdono nel profondo mare blu, eri stata con Foroneo. Ti aveva condotto li dove la tua nudità non avrebbe sconcertato gli altri bagnanti. Una mattina indimetinticabile, soli in un fazzoletto di spiaggia col calore della sabbia addosso e nient’altro, dimentichi di ansie e pensieri alcuni. Galleggiavi leggera quel giorno, come oggi su prese piccole come sardine.
Sorridi mentre il tuo corpo è un tutt’uno con la montagna. Unico testimone un rapace, si aggira silenzioso sopra la tua testa, alla ricerca di qualche incauta preda mattutina.
Il tempo si è fermato, giusto quello che ti serviva per scalare fin dove le rocce lasciano spazio a una distesa di arbusti. Il tuo sguardo può finalmente spaziare in ogni direzione, le spalle si rilassano. È stata una fatica splendida, durata quasi troppo poco. La cima angusta, come se gli dei avessero voluto tagliare di netto la punta della montagna per lasciare spazio ad un momento di distensione per i comuni mortali che avrebbero osato la vetta.
La discesa non ti preoccupa, lo stomaco brontola, ma già pregusta una buona moussaka e un bicchiere di ouzo dalla tua amica Leda. Qualche attimo ancora per annotare un pensiero sul tuo diario, poi riempi lo zaino di erbe e di emozioni e sgambetti allegra verso il paese.
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Dal tuo diario, il giorno che scalasti Kokkino Vrachos per la prima volta.
“Son salita su per il pilastro di fuoco, un mercato di erbe è il premio per i coraggiosi della montagna”
Resterà chiuso nel tuo cassetto dopo la fine dei tuoi giorni. I tuoi discendenti lo troveranno e lo tramanderanno per generazioni. Giungerà infine ad uno dei tuoi bis-bis-bis nipoti, Aris Theodoropoulos.
Una volta in cima al pilastro, dopo un’intensa giornata di arrampicata e 8 tiri corda, nel sole del tramonto di un giorno d’aprile del 1987, assieme al suo amico Dimitris sceglierà per quella via il nome Pillar of Fire, la prima via di arrampicata sportiva di Leonidio.
Ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità.