A detta di Giovanni Chiaffarelli, il secondo tiro di Reggatta de Blanc è uno dei più belli di tutto il Medale. Detto da lui – che qualcosina in Medale l’ha fatta – questa affermazione assume tutt”altro sapore.
Lì dove oggi si erge il Medale milioni di anni fa c’era il mare: la roccia sedimentaria di cui è fatto – in buona sostanza un grosso ammasso di conchiglie schiacciate – si sgretola assai facilmente e, come dicono alcuni miei amici geologi, fra qualche tempo non esisterà più. Nel frattempo si può ancora scalare. Anche perchè, nonostante la progressiva e incessante sgretolatura, la maggior parte della parete gode di roccia ottima, motivo per cui frotte di scalatori e chiodatori ci hanno tracciato degli splendidi itinerari.
Luca Bozzi ha speso decine di giornate su questa parete, perciò quando mi propone di andare a sistemare “una via vecchia che stiamo sistemando con Giovanni”, non ci penso due volte. Non è la prima volta che scaliamo assieme e la differenza di età si fa sentire solo nel timore reverenziale che ho verso questi “signori dell’alpinismo”, che hanno avuto il coraggio (e la fortuna) di avventurarsi in salite senza tutto quel rischio calcolato che accompagna le nostre giornate.
Lungo il sentiero si parla di vie, ma anche di ricordi: della locanda del Medale, dove potevi lasciare li zaino sotto il tavolo prima di andare a scalare per poi ritrovarti a sera a sbevazzare per festeggiare, della via che stiamo andando a sistemare – Reggatta de Blanc – aperta dal loro amico Umberto Villotta e poi caduta un po’ nel dimenticatoio.
Mentre ancora sto sistemando il saccone con tutto il materiale, Luca parte a cannone sul primo tiro e fa una decina di metri senza mettere niente (a proposito di rischio calcolato). La via è chiodata sui passaggi duri, da integrare con qualche friend, ma in un battibaleno è in sosta. Poi mi lascia andare avanti sul secondo tiro, che a vederlo da sotto, nel grottino in cui si sosta, fa un po’ impressione.
Nè lui ne Giovanni ne sono ancora venuti a capo: poco male, non ne vengo a capo neanche io oggi. Il tiro mi sembra bellissimo, nella roccia e nei movimenti, ma alcune sezioni restano ancora un’incognita. È da poco passata la metà di Gennaio e più che il sole sono gli strapiombi a scaldarci.
Non abbiamo molto tempo oggi, così saliamo ancora un po’ oltre, puliamo ancora da erbe e rovi per rendere il tutto più piacevole possibile e ci caliamo. Mentre in macchina passano le note di Reggatta de Blanc, l’album dei Police che da il nome alla via, l’occhio va ancora alla parete, con l’idea di poterci tornare presto.
Passa qualche settimana e siamo ancora una volta al parcheggio di Laorca, questa volta con Giovanni Chiaffarelli e Federico Montagna, espertissimi del Medale: sole, freddo e un leggero venticello, condizioni perfette. L’obiettivo della giornata è finire la sistemazione della via, che necessita ancora di un po’ di qualche rifinitura e prendersi un po’ di tempo per provare il secondo tiro che resta ancora irrisolto. Giovanni mi dice che ha fatto tutti i passi, ma metterlo assieme è un’altra storia.
I tiri belli non sono solo quelli che chiudi a vista, ma anche quelli che vuoi tornare a chiudere quando non ti sono entrati.
Ancora una volta mi lasciano l’onore (e l’onere) di andare avanti a montarlo. I primi splendidi metri su ottime canne , poi placche e diedri grigi dove bisogna ricordarsi – tanto per cambiare – che i piedi servono, le gocce tengono. Solo che a sto giro montandolo entra pure la libera. Una felicità piccola, che come al solito dura qualche secondo, come tutte quelle volte che chiudi un tiro, ma molto grande se la paragoni alla voglia che avevi di tornare a farlo.
Poi scendo in sosta per far provare anche gli altri un giro. Abbiamo tutto il tempo oggi per completare i lavori fino in cima. Continuiamo a salire: puliamo bene i tiri dai sassi per rendere il tutto più piacevole, sistemiamo i fix che servono, recuperiamo le corde lasciate qualche giorno prima quando Luca e Giovanni erano saliti per un tentativo finito con un piccolo infortunio.
Non usciamo in cengia, che sarebbe consigliabile, ma ci caliamo ancora in doppia per recuperare il materiale e concludere le pulizie di inverno.
Una stretta di mano a fine via, semplice e senza fronzoli, carica di tanti significati.
Più tardi, beviamo una birra al Coyote per festeggiare l’ottima giornata. Al tavolo affianco una bella combriccola di alpinisti con qualche capello grigio anche loro intenti a bere dopo una giornata di scalata. Si scambiamo chiacchiere sulla giornata, su cosa abbiamo fatto. Uno di loro ha ancora il fuoco di un ventenne dentro: mi chiede della via, della bellezza, dei gradi, della roccia; gli si illuminano gli occhi solo a parlarne, subito propone al suo compare di andarci anche loro – ora che è sistemata – a farci un giro. Con un pizzico di invidia mi immagino fra un po’ anni, speranzoso di avere ancora quel fuoco e quel sorriso davanti a uno stupido pezzo di roccia.
“Sai con chi parlavi?” mi chiede Giovanni. “Quello è Nando Nusdeo”.
“QUEL Nando?”
Già, proprio lui, con l’arditezza e la curiosità di un bambino, non ancora sazio di montagne e avventure.
Perchè Reggatta de Blanc è una piccola avventura, a due passi da casa.