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Una Favola

Lavoro in un’industria chimica. Una grande multinazionale, siamo di gran lunga i più importanti nel nostro settore, ormai da anni, e lo siamo perché abbiamo degli ottimi prodotti.

Ovviamente siamo in tanti, abbiamo sedi in tutto il mondo, ma io lavoro nella sede principale, dove si trovano i laboratori di ricerca.  Per essere precisi abbiamo diversi laboratori di ricerca sparsi tra le sedi, ma io lavoro nel laboratorio centrale, quello da cui passano tutti i prodotti che prima o poi arriveranno sul mercato. 

Da giovane ero molto bravo a scuola, mi piaceva capire, che è un po’ come esplorare che poi è la passione di tutti i bambini.  Però io ero particolarmente bravo, così quando ho finito di studiare mi sono fatto assumere in questo laboratorio.  All’inizio avevo dei compiti relativamente semplici ma ho fatto velocemente carriera, mi hanno assegnato compiti via via più importanti, e oramai da molti anni sono diventato il responsabile solventi, che, come potete intuire, è un lavoro di grande responsabilità.

Il nostro laboratorio è un grande palazzo, di venti piani.  Il tredicesimo piano è dedicato ai solventi, un bellissimo open space.  Al centro del piano si trova il mio tavolo. È una grande lastra di acciaio inossidabile, su cui poggiano la teca delle polveri, una penna, il nastro delle etichette, un vetrino, un contagocce e il microscopio. 

Quando uno dei miei colleghi inventa un nuovo solvente, mettiamo che sia un solvente per la polvere azzurra, ne prepara una fiala e me la consegna.  Io cospargo il vetrino di polvere azzurra, intingo il contagocce nella fiala, faccio cadere una goccia sul vetrino, lo poggio sul tavolo e aspetto.  Un’ora e venti minuti.  Poi prendo il vetrino, lo metto sotto alla lente del microscopio e verifico che cosa è rimasto.  Se non trovo nulla il solvente funziona, altrimenti no.  Il mio compito è di verificare che non ci sia nulla, e altrimenti scrivere un rapporto molto dettagliato su quel che ho trovato, per aiutare i miei colleghi a correggere la ricetta.

Quando ho cominciato a lavorare come responsabile solventi mi capitava spesso di trovare sotto alla lente cristalli, grumi, ammassi di polvere, ma grazie al mio lavoro, che faccio molto bene, oramai i solventi funzionano quasi sempre alla perfezione.  Solo molto raramente mi capita di ritrovare magari un granello di polvere più testardo, che non si vuole sciogliere.  In questo caso scrivo un rapporto molto dettagliato sulla forma, le dimensioni, il colore, la presenza o meno di struttura cristallina. Ho molta esperienza e riesco, solamente osservando la forma del granello, a intuire quali tra le componenti della polvere sono rimaste e quali si sono sciolte, così riesco a dare delle indicazioni molto precise ai miei colleghi, e chiaramente questa è una grande soddisfazione.

C’è una cosa strana, però, che mi è capitata forse una decina di volte in tutti questi anni di lavoro, e che non ho mai descritto nei miei rapporti, o quanto meno non ho descritto troppo nel dettaglio.  La prima volta se non mi sbaglio è stata con la polvere verde, un paio di volte con quella rosa, qualche volta con quella rossa.  L’ultima volta con quella azzurra.

La volta della polvere verde ricordo che a prima vista credevo che non fosse rimasto nulla, e stavo già preparando l’etichetta TEST 23451: POSITIVO, quando ho notato un piccolo puntino.  Allora ho cambiato lente e ho visto che il puntino aveva la forma di un piccolo libro. TEST 23451: POSITIVO NEGATIVO: insoluto di geometria tetragonale, piccolo, composizione indeterminata, sospetto composto glucidico.  E ho attaccato l’etichetta sulla fiala.

Come vi dicevo, questa cosa è successa ancora, qualche volta, negli anni successivi.  Ovviamente a quel punto ero diventato più attento e prima di scrivere la mia relazione ho sempre controllato che non ci fosse veramente niente, e non più di una decina di volte mi sono ritrovato a guardare nella goccia di solvente senza trovare nulla, se non questo piccolo puntino.  Non era sempre uguale, ogni tanto aveva una copertina spessa, ogni tanto sottile, alle volte quadrata e altre volte allungata, ma sembrava sempre un piccolo libro. Mi sarebbe piaciuto guardarci dentro, ma dovete sapere che il mio microscopio è molto potente e quel puntino è estremamente piccolo.  Non potevo, per dire, aprirlo e sfogliarlo, nemmeno con la punta di uno spillo molto appuntito.

L’ultima volta che ho trovato il puntino era appunto con la polvere azzurra.  Ho cambiato lente e mi sono accorto che, come le altre volte, era un piccolo libro, anzi un diario, ma questa volta era rimasto aperto.  Una pagina e mezza scritte con una calligrafia minuscola e acuta, ma abbastanza chiara, che diceva così.

Oggi è una giornata speciale.  Da generazioni stiamo lavorando alla Struttura.  Gli antenati dei miei antenati hanno iniziato a scavare, separare e comporre, scolpire, incollare, tagliare e avvitare.  I miei antenati hanno continuato il lavoro e lo hanno insegnato a noi fin dalla genesi.  Io, che sono sempre stato ambizioso, ho fatto del mio meglio da giovane e mi sono guadagnato un ruolo molto importante: responsabile della forma.  Cammino ogni giorno a lungo per tenere d’occhio tutta la struttura, misuro gli spigoli, i lati, e do indicazioni ai miei colleghi per dare alla Struttura la forma giusta.  La Struttura è immensa e si stende tra le valli azzurre, sulle colline e sulle montagne.  Il mio lavoro, quindi, è tanto di geometria e precisione, quanto di fatica.  Però è un lavoro importante e, come potete intuire, di grande responsabilità, nel progetto più importante che sia mai stato realizzato.

Dicevo che oggi è una giornata speciale, per due ragioni.  La prima è che la Struttura è quasi finita, mancano pochi lati, qualche piano da levigare e poi sarà completa.  Per assicurarmi che la forma sia perfetta, che ogni piano abbia la giusta inclinazione, oggi sono salito su una montagna più alta, su cui non ero mai salito. È una montagna molto ripida, a tratti verticale, di un azzurro più scuro e venato da tratti quasi neri.  Non sono arrivato fino alla cima ma sono salito più in alto di dove non fossi mai andato. Da lì non potevo comunque vedere tutta la Struttura, ma ne vedevo una buona parte e, per la prima volta, potevo intuirla nella sua quasi completezza. 

Mentre guardavo oltre alla Struttura però è successa un’altra cosa, e questa è la seconda ragione. All’orizzonte, più in là dei confini della Struttura, vedevo pareti immense e cime, nascoste tra nuvole di vapore, che mi suggerivano sogni anche se non le potrò mai raggiungere.  Vedevo piccole colline su cui ero già salito, che non avevano più niente da dire.  C’era un oceano di nuvole, barche arenate tra i cumuli.  Faceva freddo e facevo fatica, una fatica da fare paura.  Ordinavo al cervello di ignorare queste sensazioni, ripetendomi come una filastrocca che erano solo tentativi del corpo di farsi notare.  Ascoltavo la mia pelle d’oca, una gamba che tremava e le braccia che chiedevano riposo mentre cercavo di stare attaccato alla parete quasi verticale della montagna.  Le dita volevano aprirsi, la schiena voleva piegarsi. Ne ho preso atto, vi riconosco, nervi muscoli e ossa, so che cosa volete dire, ma so molto meglio di voi fin dove potete arrivare. Ho messo queste sensazioni al loro posto, in una scatola sul ripiano d’angolo, in fondo all’ultimo corridoio, sotto controllo. E una volta che le ho messe al loro posto hanno liberato spazio per lasciar crescere senza controllo le immagini e quella sensazione, non ha un nome tra noi piccole creature, che emerge da qualche parte appena sotto lo sterno, si allarga ai polmoni, e riempie la testa di meraviglia.  Per un attimo ho avuto la sensazione di poter comandare le endorfine, il cortisolo, l’acetilcolina, l’adrenalina, ogni molecola nel mio cervello e ogni fibra di ogni muscolo. Di poter scegliere, emozione per emozione, chi ha il diritto di espandersi e chi il dovere di contrarsi. Ho avuto l’impressione che l’orizzonte fosse in qualche modo in equilibrio con me, e mi è venuta l’idea un po’ assurda che la Struttura non fosse, in fondo, così importante.

Questa sensazione, bellissima, è durata un attimo.  Poi sono tornato al lavoro, entro stasera

La pagina finiva così, immagino che la creatura stesse scrivendo quando ho messo il solvente.  Le ultime parole sono un po’ sbiadite, forse l’inchiostro non era ben asciutto. Oltre al diario non ho trovato nulla.  Non so che cosa fosse la creatura, e non so che forma avesse la struttura. Non capisco perché questi diari non si sciolgano e non so nemmeno se il racconto nel suo diario sia simile a quelli negli altri diari, che ho trovato e non ho potuto aprire, se la stessa storia si ripeta o se sia sempre diversa. Il solvente non ha lasciato nessuna traccia, tutto sommato funziona bene, merito di anni di impegno e di lavoro ben fatto. TEST 52128: POSITIVO.